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«Nessuna propaganda al mondo può nascondere la ferita che è la Palestina»

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Su The Wire, il discorso di Arundhati Roy sulla Palestina.

Roy è una scrittice indiana, divenuta famosa col romanzo «Il Dio delle piccole cose». Nel ricevere il premio PEN Pinter, ha pronunciato un discorso sulla guerra in Palestina:

Ed eccoci qui, tutti questi anni dopo, a più di un anno dall’ennesimo genocidio. Il genocidio televisivo, senza mezzi termini, di Stati Uniti e Israele a Gaza e ora in Libano, in difesa di un’occupazione coloniale e di uno Stato di apartheid. Il bilancio delle vittime finora è ufficialmente di 42.000 persone, la maggior parte delle quali donne e bambini. Questo non include coloro che sono morti urlando sotto le macerie di edifici, quartieri, intere città e coloro i cui corpi non sono ancora stati recuperati. Un recente studio di Oxfam afferma che Israele ha ucciso più bambini a Gaza che nel periodo equivalente di qualsiasi altra guerra degli ultimi vent’anni.

Roy continua con considerazioni sempre più cupe:

Quindi, questa è la parte del mio discorso in cui ci si aspetta che io mi esprima in modo ambiguo, per proteggere me stessa, la mia “neutralità”, la mia posizione intellettuale. Questa è la parte in cui dovrei cadere nell’equivalenza morale e condannare Hamas, gli altri gruppi militanti di Gaza e il loro alleato Hezbollah, in Libano, per aver ucciso civili e preso in ostaggio persone. E condannare la popolazione di Gaza che ha festeggiato l’attacco di Hamas. Una volta fatto questo, tutto diventa facile, non è vero? Ah, beh… Tutti sono terribili, cosa si può fare? Andiamo a fare compere…

Mi rifiuto di giocare al “gioco della condanna”. Voglio essere chiara. Non dirò ai popoli oppressi come resistere alla loro oppressione o chi debbano essere i loro alleati.


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