Su suggerimento di @dadzs
Gabriele Pedullà propone su Le parole e le cose una riflessione sul pensiero di Carl Schmitt e sui limiti di una sua attualizzazione imprudente.
L’alternativa al mondo americano sarebbe dunque il rifiuto della globalizzazione e la chiusura in nuovi confini? L’Europa, dopo tutto, ha proprio le dimensioni giuste per costituirsi in «grande spazio», secondo le ambizioni dello Schmitt degli anni di guerra… Ed ecco allora che il consenso istintivo che le tesi del giurista di Hitler ricevono oggi tanto a destra quanto a sinistra ci dice qualcosa di decisivo di un tempo in cui, in Europa, le tentazioni identitarie di ieri ricevono crescenti legittimazioni, al punto che diventa sempre più difficile distinguere davvero le battaglie dei socialisti per «l’eccezione culturale francese» dagli slogan (pseudo)repubblicani di Marine Le Pen.
Per Schmitt, rappresentare lo scontro finale prima dell’Apocalissi e della fine della Storia come la lotta tra la diversità delle tradizioni e un’anonima forza sovvertitrice dell’ordine terreno (le potenze «marine») non era naturalmente una opzione neutra, ma serviva a difendere le ragioni di un preciso ordine mondiale alternativo a quello americano: quello del Terzo Reich. Troppo facilmente i suoi esegeti di oggi tendono a dimenticarlo, quando invece occorrerebbe far saltare la semplice antitesi tra difesa identitaria e globalizzazione spoliticizzante (con il non trascurabile effetto collaterale del terrorismo).
Immagine da Wikimedia Commons.
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