Su The Conversation Anthony Asher, professore associato alla UNSW Business School, parla di pensione nei secoli.
Asher fa una panoramica di questo istituto. Nel tempo le motivazioni cambiano (a volte più mutuo soccorso, a volte più una forma di assicurazione contro la malattia). Partendo dagli antichi romani, che riuscivano ad appendere il gladio al muro a soli quarantadue anni:
L’imperatore Augusto, che governò dopo la morte di Giulio Cesare, istituì un programma per i soldati romani più di duemila anni fa. Il programma mirava a garantire che i soldati andassero in pensione quando erano ancora forti e in salute e che fossero meno propensi a causare problemi.
Il regime pagava una somma adeguata ai soldati dopo venticinque anni di servizio, per cui l’età di pensionamento poteva arrivare a quarantadue anni.
La moderna idea di pensione di anzianità si deve a Bismarck. La garanzia non è ancora universale:
A partire dalla Germania nel 1889, i Paesi sviluppati hanno iniziato a introdurre disposizioni nazionali universali in materia di pensioni di vecchiaia.
Purtroppo, alcuni Paesi, come la Papua Nuova Guinea, non sono ancora in grado di fornire una rete di sicurezza universale per gli anziani.
Ovviamente l’articolo non può che toccare la vexata quaestio contemporanea. La chiave di lettura secondo Asher è l’aspettativa di vita al pensionamento:
L’età pensionabile si sta tuttavia innalzando per tener conto dell’«invecchiamento della popolazione», dell’allungamento dell’aspettativa di vita e della riduzione dei tassi di natalità. L’«aspettativa di vita all’età del pensionamento» è il numero cruciale per calcolare il costo delle pensioni.
Nell’antica Roma era di circa sette anni ed era più o meno la stessa in Svezia a metà del XVIII secolo.
In Australia, l’aspettativa di vita di una donna di 65 anni è passata da 12 anni nel 1895 a 23 anni in media.
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.