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Filosofia selvatica, una rivisitazione del pensiero wilderness

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Sulla rivista online Scienza e Filosofia Giacomo Scarpelli, sceneggiatore cinematografico e storico della filosofia e delle idee, riflette sulla storia e i cambiamenti del pensiero wilderness.

La natura oggi si è trasformata in ambiente, mentre la storia naturale in ecologia: la doppia metamorfosi concettuale è espressione dell’urgenza di salvare il pianeta. A queste rappresentazioni se ne lega un’altra che ha invece ascendenza secolare, il wilderness. Secondo la definizione di un atto emanato dal Congresso degli Stati Uniti nel 1964, per wilderness si intende una data porzione di territorio popolata di animali allo stato selvatico, in cui predominano le forze della natura, in contrasto con le aree dove l’uomo e la sua opera costellano il paesaggio; un territorio protetto che pertanto può rappresentare una risorsa di tipo scientifico, educativo ed estetico.

Il trascendentalista Henry David Thoreau, convinto che la natura fosse una risorsa che poteva decrescere ma non aumentare, affermava nell’infuriare della Guerra Civile che il wilderness (lo chiamava ancora wildness) costituiva un tesoro da salvaguardare piuttosto che da saccheggiare, poiché in esso era racchiusa l’intera «preservazione del mondo». E John Muir, il fondatore della più autorevole istituzione americana per la difesa dell’ambiente, il Sierra Club, osservava già nel 1898 come il wilderness fosse diventato una necessità di fuga per «migliaia di persone affaticate, dai nervi scossi e ipercivilizzate». Oggi il discorso varrebbe a maggior ragione, alla luce di pandemie ricorrenti: il wilderness potrebbe rappresentare un luogo d’asilo anche per chi è traumatizzato dalle conseguenze della globalizzazione.

Ma non solo, la “filosofia della natura selvaggia” sembra avere più profonde implicazioni relative al modo in cui il singolo si rapporta con gli altri: in particolare interpreta una sorta di neopaganesimo in contrasto con le religioni dominanti, oppure un approccio iper-individualista e anti-tecnologico che ridiscute interamente le strutture della società umana:

Il Puritanesimo, fortemente insediato nel New England, aveva guardato ai territori selvaggi come un luogo di prova, lo sfondo per una purificazione spirituale, dove la corruzione morale della Vecchia Inghilterra avrebbe potuto essere definitivamente eliminata. In tal modo, colui che si fosse rifugiato in seno al wilderness avrebbe trovato nutrimento materiale e spirituale in nome del Signore[17]. Tuttavia, non è difficile individuare nell’idea wilderness anche valori che appaiono pagani, o per certi versi panteistici, una ricerca della verità dentro la realtà naturale. Thoreau definiva Dio come un «Qualcosa» di vicino, che si manifestava con la natura ed era immanente alla natura.

Al wilderness appartiene pertanto anche un sentimento di esasperato individualismo che non esclude la misantropia, la fuga dell’Homo sapiens dai co-specifici […] Ai nostri giorni, certe propensioni possono nondimeno condurre a delusioni pericolose. Wildmen non ci si improvvisa, come hanno dimostrato negli ultimi anni imprese di dilettanti o velleitari che si sono concluse tragicamente, perché la natura autentica non perdona. Muir fu tra i primi ad averne consapevolezza: wild life può significare wild death, ed è inutile aspettarsi l’aiuto divino.

 


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