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Impianti sciistici morti, moribondi e morituri

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Il settore dello sci è in cambiamento da anni e deve affrontare sempre più sfide: dal riscaldamento globale alla presenza di sempre più alternative turistiche e ricreative, che hanno portato via via un declino del settore dai tempi del boom economico (nel quale spuntavano impianti di risalita come funghi, aiutati da nevicate abbondanti).

Questo declino viene fotografato bene da un articolo sul portale DoveSciare, che censisce la presenza di un numero veramente impressionante di stazioni sciistiche abbandonate in Italia: oltre 300, tra Alpi ed Appennini.

La questione altimetrica viene trattata con risalto in un articolo su GreenMediaLab, incentrato sugli effetti del cambiamento climatico su questo sport. All’interno si prevede che l’aumento delle temperature provocherà una drastica contrazione dell’innevamento in montagna (sia in termini di area coperta, che di spessore del manto nevoso che di periodo dell’anno). Questo penalizzerà soprattutto le aree sciistiche situate a minore altitudine (secondo alcuni studi già dal 2030 non si avranno precipitazioni nevose certe sotto i 1300 metri), ma potrebbe pesantemente vacillare anche la sostenibilità economica di altri comprensori, che si verrebbero stritolati dalla morsa da una parte della forte riduzione degli introiti (a causa di una stagione sciistica sempre più corta) e dall’altra parte da una esplosione dei costi di gestione (per la crescente necessità di sopperire alle minori precipitazioni con l’innevamento artificiale, che è particolarmente energivoro).

Un articolo su L’EcoPost fornisce alcuni numeri, esprimendo preoccupazione per le prospettive del turismo in montagna, e dà alcune interessanti informazioni tecniche, economiche ed ambientali sull’ormai imprescindibile innevamento artificiale.

Previsioni alquanto fosche sono formulate anche in questa intervista dal Prof. Christophe Clivaz dell’università di Losanna, che ritiene inevitabile che su questa china lo sci sia destinato a diventare uno sport di nicchia costosissimo, praticato unicamente in quelli che saranno i pochi comprensori superstiti. La sua idea è che per le località sciistiche “condannate” è inutile tentare di resistere, e consiglia piuttosto ai gestori di puntare per tempo a diversificare l’offerta turistica al fine di prepararsi ad offrire altri svaghi in quota (es. passeggiate estive) quando non si potrà più sciare.


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