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La nuova aristocrazia americana [EN+IT]

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A cura di @NedCuttle21(Ulm).

Un lungo articolo pubblicato sulla rivista The Atlantic, a firma del filosofo statunitense Matthew Stewart, cerca di spiegare come sia stato possibile riprodurre disuguaglianze sociali così aspre, nonché capaci di plasmare sulla base del reddito ogni aspetto della vita dei cittadini americani, da essere assimilabili a quelle caratteristiche della società inglese dell’Ottocento. Stando a uno studio su quest’ultima, intitolato On English Pygmies and Giants, i sedicenni delle classi subalterne erano, a causa della malnutrizone, di statura più bassa rispetto ai rispettivi coetanei delle classi superiori.

“This divergence of families by class is just one part of a process that is creating two distinct forms of life in our society. Stop in at your local yoga studio or SoulCycle class, and you’ll notice that the same process is now inscribing itself in our own bodies. In 19th-century England, the rich really were different. They didn’t just have more money; they were taller—a lot taller. According to a study colorfully titled “On English Pygmies and Giants,” 16-year-old boys from the upper classes towered a remarkable 8.6 inches, on average, over their undernourished, lower-class countrymen. We are reproducing the same kind of division via a different set of dimensions. Obesity, diabetes, heart disease, kidney disease, and liver disease are all two to three times more common in individuals who have a family income of less than $35,000 than in those who have a family income greater than $100,000. Among low-educated, middle-aged whites, the death rate in the United States—alone in the developed world—increased in the first decade and a half of the 21st century. Driving the trend is the rapid growth in what the Princeton economists Anne Case and Angus Deaton call “deaths of despair”—suicides and alcohol- and drug-related deaths”.

L’autore, appartenente al 9,9 percento più ricco della società statunitense, sostiene che è molto facile che la sua classe sociale trasmetta alla propria prole quei privilegi meritocraticamente acquisiti, avendo ormai essa cristallizzato il proprio status quo attraverso la creazione di un cinico sistema legale di autoconservazione che difficilmente permetterebbe a coloro che stanno sotto, e in particolare ai loro figli, di salire la scala sociale e raggiungere le stesse vantaggiose posizioni. La tesi portante è infatti quella per cui alla crescita progressiva delle disuguaglianze corrisponde una sempre minore mobilità sociale; condizione che a sua volta produce risentimento nelle masse.

Il pezzo si chiude con un’analisi della situazione politica attuale, nella quale Stewart osserva alcuni aspetti riscontrabili anche in quella degli anni ’20 del Novecento e in cui quel risentimento di cui sopra finisce col diventare protagonista in negativo:

“The historian Richard Hofstadter drew attention to Anti-intellectualism in American Life in 1963; Susan Jacoby warned in 2008 about The Age of American Unreason; and Tom Nichols announced The Death of Expertise in 2017. In Trump, the age of unreason has at last found its hero. The “self-made man” is always the idol of those who aren’t quite making it. He is the sacred embodiment of the American dream, the guy who answers to nobody, the poor man’s idea of a rich man. It’s the educated phonies this group can’t stand. With his utter lack of policy knowledge and belligerent commitment to maintaining his ignorance, Trump is the perfect representative for a population whose idea of good governance is just to scramble the eggheads. When reason becomes the enemy of the common man, the common man becomes the enemy of reason”.

In un altrettanto lungo articolo pubblicato su Time, lo scrittore e avvocato statunitense Steven Brill ripercorre le tappe della sua formazione scolastica e della sua carriera lavorativa, cercando di svelare attraverso l’analisi delle stesse i cortocircuiti che negli States, paese meritocratico per antonomasia, hanno prodotto l’esplosione delle disuguaglianze, la crisi del 2007/2008 e la costituzione di una nuova aristocrazia ben più forte, arguta e artificiosamente protetta rispetto alle élite del passato:

The Meritocracy’s ascent was about more than personal profit. As my generation of achievers graduated from elite universities and moved into the professional world, their personal successes often had serious societal consequences. They upended corporate America and Wall Street with inventions in law and finance that created an economy built on deals that moved assets around instead of building new ones. They created exotic, and risky, financial instruments, including derivatives and credit default swaps, that produced sugar highs of immediate profits but separated those taking the risk from those who would bear the consequences. They organized hedge funds that turned owning stock into a minute-by-minute bet rather than a long-term investment. They invented proxy fights, leveraged buyouts and stock buybacks that gave lawyers and bankers a bonanza of new fees and maximized short-term profits for increasingly unsentimental shareholders, but deadened incentives for the long-term growth of the rest of the economy.

Su Internazionale, il giornalista Alessio Marchionna propone una breve sintesi dei due articoli:

Oggi diverse analisi partono da un’idea schematica dei rapporti sociali: da una parte c’è il cosiddetto 1 per cento, un’élite ristrettissima di grandi manager, banchieri, amministratori delegati di una manciata di aziende, che da soli gestiscono più ricchezza degli altri gruppi sociali o perfino di interi paesi, che hanno creato sistemi astratti e diabolici per fare soldi e che – grazie ai rapporti privilegiati con i leader politici – hanno continuato ad arricchirsi mentre l’economia sprofondava. Un gruppo così distante dai bisogni del resto del mondo da sembrare una sorta di entità irreale. Dall’altra parte c’è il cosiddetto 99 per cento, quello che spesso è identificato genericamente con la classe media, o addirittura con “il popolo”, formato da chi è stato più duramente colpito dalla crisi e che a un certo punto, vista l’incapacità dei governi di alleviare le sue sofferenze, si è rivolto sempre più spesso a politici con messaggi distruttivi e reazionari.

Immagine da Wikimedia.


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