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La rivoluzione fotografica nei libri d’arte

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Francesco Cataluccio per Il Giornale dell’arte racconta l’evoluzione delle riproduzioni fotografiche nei libri d’arte e il loro impatto sullo studio e l’insegnamento della storia dell’arte. Storici dell’arte come Jacob Burckhardt (1818-1897) si affidavano a viaggi, disegni e stampe per studiare le opere.

Ho sempre cercato di immaginare come facessero i vecchi storici dell’arte a studiarla e insegnarla senza avere a disposizione le riproduzioni delle immagini. Jacob Burckhardt (1818-97), che la insegnò prima a Zurigo e poi a Basilea (cfr. Arte e storia, Lezioni 1844-87, Bollati Boringhieri 1990), dove affascinò il giovane Friedrich Nietzsche che lo chiamava «nostro grande, grande maestro», si avvaleva di disegni e riproduzioni. Ma la sua conoscenza era quella di un instancabile viaggiatore che aveva visto di persona tutto il possibile: «Mi diventa sempre più insopportabile il fatto di farmi, attraverso la sola lettura di libri, un’idea di cose che non ho visto con i miei occhi», scriveva in una lettera a Paul Heyse nel 1864. La base della sua conoscenza dell’arte era una poderosa memoria visiva, centinaia di appunti, schizzi, relazioni di altri studiosi e viaggiatori. Nelle sue lezioni, quando era necessario, Burckhardt utilizzava riproduzioni incise, disegni o stampe di opere d’arte, più facilmente accessibili e condivisibili allora rispetto alle fotografie. Esse esistevano già ai suoi tempi, ma erano ancora poco diffuse e difficili da utilizzare in modo pratico nell’insegnamento. Il suo approccio era più filologico, storico-culturale e testuale che visivo, e apparteneva a un’epoca in cui l’immagine non era ancora centrale nella vita e nella didattica come lo sarebbe diventata nel XX secolo. Le diapositive su vetro (come le «lanterne magiche») cominciarono a essere usate nelle lezioni soltanto verso la fine dell’Ottocento.

Ma tra il 1850 e il 1870 iniziarono a diffondersi stampe all’albumina e tecniche come il collodio umido e la gelatina ai sali d’argento, permettendo la creazione dei primi cataloghi di storia dell’arte con immagini fotografiche. L’articolo evidenzia come la fotografia abbia trasformato la fruizione dell’arte, permettendo una maggiore accessibilità, ma anche sollevando questioni sulla fedeltà delle riproduzioni rispetto alle opere originali.

Le fotografie infatti possono alterare la percezione delle opere originali con la perdita della tridimensionalità che non permette di apprezzare la profondità e la texture di dipinti e sculture, così come i giochi di luce. Le fotografie inoltre spesso alterano i colori dell’opera originale a causa dell’illuminazione, della qualità della stampa o della calibrazione dello schermo su cui vengono visualizzate e questo può modificare toni e sfumature voluti dall’artista. Dimensioni e proporzioni possono infine risultare alterate in una fotografia, riducendo l’impatto emotivo dell’opera d’arte.

Ma…

I libri con riproduzioni fotografiche sono stati una grande rivoluzione per vedere e studiare l’arte. L’arte è diventata accessibile a tutti. Così ogni opera ci sembra alla nostra portata e una riproduzione, nonostante le inevitabili alterazioni di scala, dimensioni e tocco, ci sembra più accettabile di una copia. Perché i cataloghi d’arte e le monografie illustrate hanno dato la possibilità di vedere e rivedere un dipinto, osservare un affresco collocato molto in alto e scarsamente illuminato, ingrandire i particolari, accostarli ad altri, non essere obbligati ad andare a visitare le opere conservate in un museo o un luogo lontano (anche se è sempre preferibile farlo e molto più emozionante).


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