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L’arte oltre la guerra: la ricostruzione di Varsavia con le vedute di Bellotto

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Emanuela Pulvirenti su didatticarte ricorda il soggiorno polacco di Bernardo Bellotto e di come, due secoli dopo, i suoi dipinti siano stati usati per ricostruire Varsavia.

A soli venticinque anni, nel 1747, il giovane Bernardo viene chiamato dall’Elettore di Sassonia Augusto III a Dresda, come pittore di corte. Su consiglio dello zio assume anch’egli il nome di Canaletto, una sorta di “marchio di qualità” per gli artisti della famiglia.

Bellotto, come suo zio Antonio Canal, usava uno strumento per sbrigare la fase del disegno nei suoi quadri: la camera ottica. Il congegno era composto da una rudimentale lente e un piano di vetro: l’artista, poggiando un foglio di carta velina sulla lastra trasparente, poteva ricalcare la sua veduta. Questo “trucco” permetteva la precisione a cui ci abituarono i vedutisti veneziani.

Dopo la spaventosa sorte riservata a Varsavia nella seconda guerra mondiale, vi erano solo due possibilità: costruire in uno stile contemporaneo o ispirarsi alle più di 50 tele di Bellotto, in un progetto «dov’era, com’era» che si ispirasse all’età d’oro della città.

Varsavia nel dopoguerra scelse, per quanto i mezzi permettevano, la seconda via. Oggi un intervento simile — per accuse di “falso storico” — non sarebbe più possibile, ma la ricostruzione fu un successo: terminata nel 1955 e suggellata con l’ingresso del centro storico di Varsavia come Patrimonio dell’umanità nel 1980.


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