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L’intelligenza artificiale si mette al servizio dell’archeologia

L’intelligenza artificiale si mette al servizio dell’archeologia

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A cura di @NedCuttle21(Ulm).

In un articolo pubblicato su Left, l’archeologa Irene Viaggiu spiega l’utilizzo dei modelli computazionali nello studio del passato e in particolare dei cosiddetti sigilli cilindrici.

L’archeologia in questi ultimi anni ha attinto ampliamente dalle recenti scoperte in campo tecnologico e informatico, facendo di quest’ultime un valido strumento di conoscenza e di analisi.

Un momento fondamentale della ricerca archeologica è proprio quello che segue lo scavo, certo meno capace di catturare l’immaginario popolare, ma di fondamentale importanza per cercare di svelare le misteriose e nascoste trame del passato. Come degli investigatori della storia, immagine questa cara all’archeologo Andrea Carandini, ci troviamo su una scena del delitto e il nostro compito è quello di decifrare più indizi possibili per cercare di restituire un’immagine definita a quello che ai nostri occhi appare all’inizio come un puzzle smontato e scomposto in migliaia di pezzi.

Il lavoro sul campo e la ricerca hanno sempre prodotto un’enorme quantità di dati sia qualitativi sia quantitativi. Senza alcuni strumenti fatti per comprimere la loro mole, i dati derivati dalla ricerca archeologica non potrebbero mai essere interpretati o pubblicati. Gli archeologi sono ormai da decenni in grado di utilizzare metodi statistici e matematici per facilitare la lettura e l’interpretazione dei dati e di realizzare istogrammi e grafici, ma la ricerca si è spinta oltre i metodi classici di analisi matematica fino ad utilizzare un approccio basato sui modelli.

 

 


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