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Quando gli intellettuali cinesi volevano abolire gli ideogrammi

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Sun Jiahui su theworldofchinese racconta le travagliate vicissitudini nella storia recente della lingua cinese, del suo sistema di scrittura e di come quest’ultimo rischiò la distruzione.
I cinesi vanno molto fieri degli ideogrammi, per il loro valore storico oltre che simbolico ed estetico. Il sistema di scrittura cinese è una delle peculiarità della cultura cinese e motivo di orgoglio. Fino a meno di un secolo fa però in Cina l’avanguardia dell’élite culturale li vedeva come reliquia di una cultura decrepita da demolire.

Nel 1931, Qu Qiubai (瞿秋白), uno dei leader del movimento comunista cinese agli albori, scrisse: “I caratteri cinesi sono davvero i più sporchi, vili e spregevoli al mondo. Sono come una fogna medievale”. Negli anni successivi, Lu Xun (鲁迅), una delle figure più prominenti della letteratura cinese moderna, paragonò i caratteri cinesi alla tubercolosi, diffusa tra le masse. Sosteneva che, se non fossero stati eliminati, avrebbero portato alla rovina del paese.

Affermazioni come questa erano comuni all’inizio del XX secolo e gli intellettuali speravano che eliminando i caratteri cinesi si sarebbe risolto il problema dell’analfabetismo.

 Nel 1891, lo studioso Song Shu (宋恕) scrisse che circa l’1% degli uomini e una su 40.000 donne in Cina sapeva leggere.

Ma non era solo questo che faceva riflettere gli intellettuali:

Molti intellettuali credevano che le politiche isolazioniste del governo Qing avessero lasciato la Cina gravata da tradizioni feudali, mentre le forze straniere invadevano sempre più il territorio cinese. Il Movimento della Nuova Cultura, nato dal desiderio di modernizzare il paese, criticava i valori tradizionali confuciani e promuoveva idee importate dai paesi occidentali, come la scienza avanzata e la democrazia.

Intellettuali come Lu Xun promuovevano anche il cinese vernacolare (白话) anziché la forma arcaica tradizionale di scrittura. Vedevano i caratteri cinesi non solo come simboli dell’arretratezza del paese, ma anche come veri e propri ostacoli allo sviluppo e alla modernizzazione della nazione.

“I caratteri mancano del vocabolario necessario per trasmettere idee e teorie moderne e sono terreno fertile per idee tossiche. Non c’è vergogna nell’abolirli,” scrisse Chen Duxiu (陈独秀), uno dei fondatori del Partito Comunista Cinese e figura di spicco del Movimento della Nuova Cultura, nel 1918.

A lungo tempo si è utilizzato il sistema di romanizzazione Wade-Giles per traslitterare la lingua cinese in caratteri latini, tanto che Taiwan lo utilizza ancora oggi. Ma il partito comunista cinese e la sua classe dirigente nel frattempo prese seriamente in considerazione l’idea di creare un sistema di caratteri latini che sostituisse completamente gli ideogrammi cinesi.

Ispirato al piano sovietico per l’eliminazione dell’analfabetismo, Qu Qiubai propose l’idea del Nuovo Alfabeto Latino intorno al 1930. Questo nuovo sistema eliminava gli indicatori tonali e sviluppava schemi diversi per dialetti come lo shanghainese e il wenzhounese. Gli studiosi abbracciarono rapidamente questa idea. “Speriamo sinceramente che tutti si uniscano per studiarlo, promuoverlo e farne uno strumento vitale per far avanzare la cultura di massa e il movimento di liberazione nazionale,” si legge in una dichiarazione congiunta firmata da Lu Xun, dal presidente dell’Università di Pechino Cai Yuanpei (蔡元培) e altri 686 studiosi nel 1935.

Questa misura proposta da Qu fu adottata nelle regioni comuniste diventando scrittura legale, mentre altrove fu ignorata e non venne più promossa dopo il 1944, anche a causa della mancanza di istruttori e ci fu una comprensibile resistenza ai tentativi di eradicare la scrittura cinese.

“La Cina è una civiltà antica unica con 4.000 anni di documenti scritti… Come dovremmo gestire questa eredità culturale dopo l’abolizione dei caratteri cinesi? Possono tutti essere tradotti nella fonetica latina?” chiese retoricamente lo studioso e drammaturgo del XX secolo Xia Yan (夏衍) nelle sue memorie. Negli anni ’30, lo studioso Zhao Yuanren (赵元任) scrisse persino un racconto utilizzando caratteri con lo stesso suono (ma toni diversi) per dimostrare che il ricco significato di ciascun carattere nel cinese classico non poteva essere sostituito interamente da un sistema fonetico.

Quando la Repubblica Popolare Cinese fu fondata nel 1949, il tasso di analfabetismo era dell’80% e il dibattito sull’abolizione dei caratteri cinesi continuava. Tuttavia, il nuovo governo alla fine optò per un compromesso, mantenendo i caratteri (ma semplificandoli) e introducendo il sistema di romanizzazione pinyin negli anni ’50. “Lo schema del Pinyin cinese è progettato per fornire annotazioni fonetiche per i caratteri cinesi e promuovere il mandarino. Non sarà un sistema alfabetico destinato a sostituire i caratteri cinesi,” dichiarò il Premier cinese Zhou Enlai nel 1958.


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