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Russia: Cent’anni di solitudine geopolitica

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Su Legrandcontinent, una introduzione e una traduzione di un articolo del 2018 di Vladislav Surkov, da molti considerato ideologo di Putin.

L’articolo tradotto qui sotto è uno dei suoi principali interventi teorici. Pubblicato sulla rivista di geopolitica Russia nella Politica Globale (Rossija v global’noj politike), questo intervento del 2018 è incastonato esattamente a metà tra gli eventi ucraini del 2014 e la guerra in corso. La posizione espressa da Vladislav Surkov può essere riassunta così: se la storia della Russia è inestricabilmente legata a quella dell’Est e dell’Ovest, questo paese-continente rimane un’entità separata. La rottura del 2014, ufficializzata dalla questione ucraina e dalle sanzioni dell’Occidente, è un atto di divorzio che condanna la Russia all’isolamento geopolitico. Quest’ultima non avrebbe più nulla da aspettarsi dall’Occidente e dovrebbe abbracciare pienamente il suo destino di “sanguemisto” solitario.

(…)

Il divorzio annunciato da Vladislav Surkov ci riporta a questi dibattiti d’antan, che sono sempre stati afflitti da due riflessi condizionati del pensiero: determinismo ed essenzialismo.
Determinismo: nella visione disperata della storia che ci viene data nel testo, sono i morti che governano i vivi, il “sangue”, versato o bollente, che controlla il destino del presente.
Essenzialismo: la “Russia” in questione si pone in definitiva come un’entità astratta, che funge da iconostasi tra i russi e il loro futuro. In entrambi i casi, questo discorso rivela niente meno che un’ontologia sociale: secondo i suoi postulati, non esistono “russi”, animati da culture, ambizioni e immaginari plurali, ma una massa passiva, imprigionata nelle grinfie del suo passato e asservita a un’entità sovrastante, la “Russia”. Sempre comparse, mai attori, i loro destini resterebbero così nelle mani degli zar che da soli parlano la voce della Madre Russia, della Santa Russia, persino della Russia atomica, quella di cui il presentatore sul canale governativo Dmitrij Kiselëv ha detto, domenica 27 febbraio, mentre esaltava il potere di distruzione nucleare del paese: “Cosa ci importa del mondo se la Russia non esiste più in esso?” O, in altre parole: “Che il mondo possa perire con la Russia”. Il futuro giudicherà questa ontologia attendista, emanazione atonica dell’autocrazia al potere, e dirà se i russi stessi si riconosceranno in questa irraggiungibile “solitudine”.


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