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Solastalgia

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Ho letto sulla BBC che Hello Kitty non è un gatto, ma una bambina che va alle elementari, appena fuori Londra. Hello Kitty ha un gatto che si chiama Charmmy Kitty. Da quando è nata: negli anni Settanta in Giappone succedeva che si idealizzasse la Gran Bretagna, a forma di infanzia.

Mi ha ricordato una cosa che abbiamo raccontato anni fa, quando Matteo descriveva lo sportello posteriore di un camion frigorifero decorato con il logo di un salumificio dove, con un sorriso vacuo, “un maiale antropomorfo con camice da macellaio affetta una coscia di prosciutto cotto. Un maiale-umano che affetta un maiale-maiale”.

La tassonomia costringe tutto quello che vive in un nome; quello che vive però supera il nome.

Tian-Yu è una creatrice di sticker (soprattutto quelli animati, che si muovono), le immagini che ci si manda sulle chat. Li inventa per WeChat, un’applicazione scaricata da un miliardo di utenti che la usano per ogni servizio e pagamento, sviluppata da Tencent che ne condivide le metriche con il Partito comunista cinese. Su WeChat, ecco, si può fare tutto quello che si può fare.

Gli sticker animati rientrano in quel corteo di novità a cui mi approccio con disgusto, poi dissimulato nell’uso ironico e intermittente – la fase peggiore, più odiosa – per arrivare poi alla posa finale, la contemplazione critica del pianeta che gira senza interrogarsi, e chi sono io per fermarlo? È più grave di morire di diarrea? Non lo so, però come spesso accade nei fenomeni di massa, si tende a ignorare le correnti profonde. Gli sticker antropomorfizzano qualsiasi immaginario, inventando regni a metà delle cose. Questi regni sospesi diventano poi uno dei linguaggi più scambiati al mondo, in tutte le lingue, miliardi di volte al giorno.

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