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Trump colpisce gli strumenti pro-privacy

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L’hanno chiamato il “massacro di mercoledì notte”. Solo metaforico, ma con profonde conseguenze nell’incerto bilanciamento globale fra strumenti di controllo e strumenti a difesa della privacy. Mentre infatti in Europa si discute con dovizia di dettagli di app di tracciamento contatti (tranquilli, più sotto ci sarà anche la mia razione settimanale), l’attuale amministrazione americana, con un sol colpo, fa fuori le teste a governo di una serie di strumenti e tecnologie antisorveglianza. Sembrerebbe una faccenda del tutto statunitense: in fondo quelle stesse agenzie sono sempre state considerate la longa manus della diplomazia e degli interessi a stelle e strisce; eppure quanto sta avvenendo potrebbe anche ripercuotersi sulle prospettive di tutti coloro che usano strumenti di privacy, anonimato, antisorveglianza e anticensura. Dai manifestanti di Hong Kong a quelli americani, dai giornalisti europei agli attivisti per i diritti umani in Medio Oriente.

Ma cosa è successo insomma? Trump è finalmente riuscito a far insediare Michael Pack, un suo uomo di fiducia, amico di Steve Bannon (il suo ex stratega e alfiere dell’alt right, la destra estrema americana), a capo di una agenzia media globale che non solo gestisce vari media/siti/radio all’estero, ma che distribuisce fondi e borse di ricerca a molteplici organizzazioni e noprofit internazionali in nome di una internet libera. Stiamo parlando dell’US Agency for Global Media (USAGM), la cui missione è “informare, coinvolgere, connettere persone nel mondo a sostegno della libertà e della democrazia”, che sovraintende a varie organizzazioni i cui board, con Pack, sono stati completamente ribaltati, e i cui vertici sono stati licenziati. Si tratta di Radio Free Asia; Radio Free Europe/Radio Liberty; Middle East Broadcasting Networks; Office of Cuba Broadcasting; e dell’Open Technology Fund. Dimissionari anche i vertici di Voice of America. Secondo CNN, la mossa di Pack mira a trasformare l’agenzia – che alcuni commentatori hanno definito come un’entità che negli anni sarebbe stata complessivamente bipartisan – “nel braccio politico dell’amministrazione”. Sarebbe anche la fine della dottrina del soft power americano, e in particolare della concezione di una diplomazia digitale incarnata sulla libertà di internet, per cui si scommetteva su una coincidenza tra quella libertà e gli interessi di politica estera americana (ne avevo scritto qua, ad esempio).

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