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Tu, robot

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In un articolo pubblicato su Il Tascabile, Vincenzo Latronico riflette su quanto la fantascienza ottimistica di Asimov nel celebre Ciclo dei Robot risulti ingenua alla luce degli sviluppi recenti della robotica e delle funzioni svolte nella nostra epoca dalle intelligenze artificiali.

La parola “robot” è apparsa per la prima volta nel 1920, in un dramma del ceco Karel Čapek intitolato Rossum’s Universal Robots. L’umanità si estingue sessanta pagine dopo. Da allora l’inevitabilità di una rivolta sembra inscritta nel genoma narrativo dei robot. Dai replicanti di Philip K. Dick a Terminator, dagli androidi di Westworld all’intelligenza artificiale di Her, una macchina che acquisti la coscienza sembra in grado di fare una sola cosa, e cioè ribellarsi a chi gliel’ha data. Tale destino, in effetti, è talmente scontato che nella maggior parte dei casi non vi è neppure bisogno di spiegarne le cause. Un’infinità di prodotti narrativi, da Terminator a Battlestar Galactica, presentano al pubblico il proprio presupporto cruciale, cioè la rivolta dei robot, senza neppure una parola sulle sue ragioni. Questo è perché è evidente che le ragioni non servono. Ribellarsi è ciò che i robot fanno. Non tutti. In molta fantascienza figurano dei robot collaterali per dare all’ambientazione un po’ di cred futuristica, come i robot di Star Wars. Ma quelli sono figuranti, robot estetici, sostanzialmente personaggi fasciati di lucine e piastre metalliche.

Immagine da Informazione.it


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