Cory Doctorow descrive su Pluralistic il ciclo di vita delle grandi piattaforme del web (Paolo Attivissimo ne ha pubblicato una traduzione italiana), da Amazon a Google, da Facebook a Twitter, per arrivare oggi a TikTok, e ne individua i tratti comuni e le origini.
Così muoiono le piattaforme: prima sono buone per i loro utenti; poi abusano dei loro utenti per migliorare le cose per i loro clienti commerciali; infine, abusano di questi per recuperare tutto il valore per loro stesse. Poi, muoiono.
Il neologismo coniato da Doctorow è un fenomeno che ogni utente conosce bene. Molti portali, social network e simili nascono a misura di cliente (interfaccia pulita, ricerca veloce e precisa, pochi click), via via si tramutano incominciano le sorprese. L’esempio di Amazon è sotto gli occhi di tutti: per anni è stata un’esperienza fantastica per il consumatore, esperienza fantastica che però non generava né utili, né flussi di cassa, completamente in perdita. Una volta attirati abbastaza clienti sono nati i primi problemi: audiolibri e libri digitali con DRM, Prime sempre più costoso, ricerca che non funzionava più e «suggerimenti» sponsorizzati. Questo è un problema non solo della singola azienda, putroppo, ma tutto il mercato:
Questa strategia comportava il fatto che diventava progressivamente più difficile, per chi cercava di fare acquisti, trovare cose in qualunque altro posto diverso da Amazon, e questo voleva dire che cercava solo su Amazon, e quindi i venditori dovevano vendere su Amazon.
È stato a questo punto che Amazon ha cominciato a raccogliere le eccedenze dai suoi clienti commerciali e le ha passate ai suoi azionisti. Oggi i venditori del Marketplace passano ad Amazon il 45% e oltre del prezzo di vendita sotto forma di costi fittizi. Il programma “pubblicitario” da 31 miliardi di dollari dell’azienda è in realtà un sistema a payola [nel mondo del business musicale, pagamento dato da una casa discografica o simile a un DJ o direttore radiofonico per far trasmettere un suo brano, N.d.T.] che mette i venditori uno contro l’altro, costringendoli a fare offerte per la possibilità di essere in cima alla vostra ricerca.
L’immerdificazione continua, inevitabile. Gli esempi nell’articolo sono molti (Facebook, Google, Tiktok, Twitter).
Doctorow ricorda come all’inizio della rete c’erano due filosofie: i bellheads che volevano che il valore (per le aziende: gli utili) rimanesse in capo alle aziende di telecomuncazione, i netheads che volevano una rete nel segno della interoperabilità, dove i gestori fornissero servizi uniformati ad un certo standard e che la rete fosse progettata per trasmettere un messaggio da A a B nel modo più affidabile e rapido possibile, spostando il valore a chi crea i contenuti. Oggi il sogno dei netheads è sempre più in difficoltà.
Con un mercato controllato da un gruppo di monopolisti amiconi fra loro, non compaiono alternative migliori che ci attirino e ci portino via; se compaiono, i monopolisti non fanno altro che comprarsele e integrarle nelle strategie di immerdificazione, esattamente come quando Mark Zuckerberg ha notato un esodo di massa di utenti di Facebook che stavano passando a Instagram e così ha comprato Instagram. Come dice Zuck, “È meglio comperare che competere”.
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