Guerriero colto, riluttante e melanconico, Pier Francesco II “Vicino” Orsini nella seconda metà del cinquecento dà vita a uno dei luoghi più iconici di quel movimento definito Manierismo che sulla scorta di quanto accadeva in quei decenni in campo religioso non è poi così ardito definire un Controrinascimento.
Il boschetto, come amava chiamarlo il suo creatore, è il sogno tormentato di una splendida epoca di transizione, uno dei monumenti più puri dello spirito manierista: radicalmente anticlassico, eccentrico, eterodosso, ironico, amaro, coltissimo e lontano da facili e ingenue concessioni all’esoterico e al demoniaco, davvero qualcosa “che sol se stesso e null’altro somiglia” come fa dire a una delle tante epigrafi.
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