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Ci sarà una rivoluzione del welfare con “il reddito di cittadinanza”?

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A cura di @Carlj91.

E’ facile intuire leggendo anche le dichiarazioni di Berlusconi  o osservando le ultime scelte politiche locali che uno degli argomenti must della prossima campagna elettorale sarà il reddito di cittadinanza. Per gioco politico, sull’argomento esiste una confusione sulla terminologia adottata che occorre dileguare per una corretta discussione. Una corretta discussione che ci porta anche ad analizzare la questione rispetto a due direttrici: una di lungo termine e una di breve termine.

1) Nel lungo termine il reddito di base e il reddito minimo visto come una soluzione ad un problema complesso come la disoccupazione tecnologica

Il giornalista Gilioli nel suo ultimo post del suo blog personale su L’Espresso discute di un futuro prossimo in presenza di macchine o di tecnologie che sostituiscono l’uomo. Di una soluzione di reddito minimo oppure di base che si autoalimenta con il lavoro delle macchine e consenta anche di “salvare il capitalismo da se stesso”.  Si domanda inoltre come sentirsi realizzati quando “saremo stati liberati dal gioco dei rapporti di produzione”. L’etica del lavoro scomparirà?

Quali saranno gli elementi esistenziali che rappresenteranno «la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra», quando il lavoro costituirà solo una piccola parte del nostro tempo, della nostra vita? In che cosa ciascuno di noi troverà la massima «manifestazione della libertà umana»? Quali saranno gli elementi di autorealizzazione personale, una volta emancipati dalle necessità produttive e di salario che ci portavano a lavorare, a impersonare un ruolo sociale in quanto idraulici, avvocati, cuochi, medici, operai, ingegneri?

2) Nel breve termine vista come una soluzione alla povertà di una fascia del Paese.

La differenza tra reddito minimo e reddito di base chiaramente implica una copertura finanziaria differente nonché gli effetti sul mercato del lavoro differenti. Stefano Toso, professore di economia all’Università di Bologna ci dice in merito al reddito di base:

Dato che lo stato deve già occuparsi della fornitura di beni pubblici (difesa, giustizia, ordine pubblico e sicurezza, eccetera), spesa sanitaria, spesa per istruzione e spesa per il pagamento degli interessi sul debito pubblico – un importo che complessivamente si aggira intorno al 30 per cento del pil –, un’aliquota d’imposta media (non marginale!) del 45 per cento sul reddito riuscirebbe a finanziare solo un reddito di base corrispondente al 15 per cento del reddito medio, circa 4.000 euro all’anno. Un’aliquota più alta, pari ad esempio al 50 per cento, potrebbe finanziare un reddito di base uguale al 20 per cento del reddito medio, circa 5.000 euro annui. Cifre importanti, ma sempre ben lontane dalla soglia di povertà relativa (circa 7.000 euro annui per un single), soprattutto se si considera che l’esempio precedente non considera la spesa pensionistica e quella per assistenza!

Escludendo quindi il reddito di base nei fatti impossibile (almeno per adesso..) tutte le forze politiche interessate si rivolgono come soluzione al reddito minimo. Un reddito minimo che rappresenterà un ulteriore prodotto assistenziale nella giungla dei prodotti offerti dall’Inps. Infatti è la struttura del welfare disorganizzata uno dei problemi. Come ci dice Luca Ricolfi sul Sole 24 ore:

C’è poi un terzo tipo di sostegno del reddito, che è in sostanza quello in vigore in paesi come l’Italia e la Grecia. Non c’è un nome per designarle, e mi permetterò quindi trovarglielo io: è il reddito-Arlecchino. Il reddito Arlecchino è una sorta di reddito minimo per pochi, perché del reddito minimo ha tutti gli obblighi tipici, ma non viene concesso a tutti coloro che si trovano al di sotto della soglia di povertà. È il governo nazionale che decide quali famiglie sono degne dell’aiuto e quali no, mentre ai governi locali (regioni e comuni) si lascia libertà di intervenire con ulteriori sussidi, a loro volta soggetti a ulteriori regole, vincoli, adempimenti che ogni Amministrazione regionale o comunale è libera di introdurre per proprio conto [il reddito di cittadinanza emiliano proposto dal PD e Sel è il classico esempio ndr]. Il reddito-Arlecchino è abbastanza facile da quantificare solo nella sua componente nazionale, dove varia di nome e di importo ad ogni cambio di governo, mentre è difficilissimo da quantificare nella componente locale, che varia enormemente da luogo a luogo, contribuendo non poco a generare diseguaglianze ingiustificate (un vero capolavoro per una misura di perequazione dei redditi). A livello nazionale rientrano nel reddito-Arlecchino le misure più o meno automatiche per chi perde un lavoro (come la NASPI e la cassa integrazione) nonché il cosiddetto Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA), una misura di contrasto alla povertà per beneficiare della quale non basta la povertà stessa ma occorre che essa sia accompagnata da qualche aggravante (un disabile, un figlio minorenne, una donna in stato di “gravidanza accertata”).

Strutture di Welfare (greca e italiana) dove è labile anche la differenza tra previdenza ed assistenza e che di conseguenza genera situazioni del genere:

In molte famiglie la pensione fa da scudo contro la povertà. “Nel 2014 il rischio di povertà tra le famiglie con pensionati è più basso che nelle altre famiglie (stima pari al 16,5% contro il 22,5%). In molti casi il reddito pensionistico sembra dunque proteggere da situazioni di forte disagio economico”, spiega l’Istat, confermando come l’assegno pensionistico faccia spesso da ‘scudo’. E questo nonostante nelle famiglie con pensionati si stimi, in media, un reddito netto inferiore di circa 2 mila euro rispetto a quello delle case senza pensionati.

Che occorra quindi un cambiamento radicale del sistema welfare italiano è lapalissiano. Bisogna vedere rispetto a quale obiettivo (breve o lungo), come ci si muove nella realtà nella giungla dei prodotti offerti, se verrà  ristrutturato e semplificato il sistema Welfare o no (e in tal caso vedere anche dove trovare le coperture per il reddito minimo nazionale), vedere quindi chi ne resterà contento e chi deluso dopo tali scelte.

L’UE da molti anni chiede l’armonizzazione del Welfare italiano su canoni europei attraverso la predisposizione di un reddito minimo (qui e qui ).

 

 

Immagine By Rosener, Ann, Public Domain, da Wikimedia Commons


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