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Contro la pigra e ingiusta pretesa di dare voti a distanza

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Alla luce dell’ultima decisione del Ministero dell’Istruzione in materia di esami e valutazioni scolastiche – secondo cui gli insegnanti, nonostante le criticità della didattica a distanza, dovranno comunque valutare i propri studenti attraverso dei voti per ogni singola disciplina -, Francesco Lorenzoni riflette su Internazionale sulle diverse realtà e condizioni problematiche degli studenti e quindi sulla necessità di giudizi scolastici articolati e costruttivi.

Il diavolo si nasconde nel dettaglio e così, a conclusione di un anno scolastico drammatico, Lucia Azzolina, ministra dell’istruzione italiana, ha scelto e comunicato sabato 16 maggio che i voti in tutte le discipline andranno dati a ogni costo fin dalla prima elementare, nonostante i numerosissimi pronunciamenti contrari. È un’assurdità pretendere di dare voti a distanza in classi in cui oltre un quinto degli alunni non è stato raggiunto da alcuna proposta didattica e una gran parte ha solo svolto compiti assegnati su una piattaforma senza alcun contatto diretto con compagni e insegnanti. Proprio per questo, nelle ultime settimane, intorno al tema dei voti e della valutazione stanno crescendo preoccupazioni e agitazioni.

Dall’istituto comprensivo Simonetta Salacone di Roma alla Casa del sole di Milano un tam tam percorre la penisola coinvolgendo numerose scuole e migliaia di insegnanti. Si moltiplicano i docenti che si rifiutano di mettere voti ai bambini della primaria e ai ragazzi della secondaria di primo grado anche se, in assenza di collegi di docenti in presenza, è assai difficile arrivare a delibere impegnative, capaci di sancire una necessaria obiezione civile che in molti, in queste ore, stanno ragionando su come attuare.

Il ritorno al voto numerico, la più pigra e ingiusta delle valutazioni, è uno dei regali avvelenati che lasciò Mariastella Gelmini dopo il suo nefasto passaggio al ministero, insieme alla sottrazione di otto miliardi all’istruzione, che distinse l’Italia da tutti gli altri paesi d’Europa, dove si reagiva alla crisi economica investendo in ricerca e istruzione.

Immagine di apertura da Pixabay


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