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Il Manifesto dell’ignominia che affossò la ricerca italiana

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A cura di NedCuttle21(Ulm)

Un articolo pubblicato su Left parla del capitale umano di eccellenza, nel campo scientifico-culturale, sacrificato sull’altare delle ignominiose leggi razziali varate in Germania e in Italia nel corso degli anni ’30 e di come in seguito all’avvento del nazifascismo l’asse della scienza mondiale si sia progressivamente spostato, dall’Europa al Nord America, determinando per il vecchio continente una grande perdita in termini non solo culturali ma anche economici, i cui effetti si fanno sentire ancora oggi.

Il 14 luglio 1938 il ministro degli Esteri del governo Mussolini, Galeazzo Ciano, annota sul suo diario: «Il Duce mi annuncia la pubblicazione da parte del Giornale d’Italia di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un gruppo di studiosi, sotto l’egida del ministero della Cultura popolare. Mi dice che in realtà l’ha quasi completamente redatto lui». L’indomani il Giornale d’Italia sotto il titolo “Il Fascismo e i problemi della razza”, pubblica la prima versione del Manifesto della razza firmato da dieci scienziati italiani, tra cui primeggiano l’onorevole Sabato Visco, direttore dell’Istituto di fisiologia generale dell’Università di Roma e direttore dell’Istituto nazionale di biologia presso il Cnr; il senatore Nicola Pende, direttore dell’Istituto di Patologia speciale medica dell’Università di Roma; Edoardo Zavatteri, direttore dell’Istituto di zoologia dell’Università di Roma. L’incipit del Manifesto è destinato a diventare tristemente famoso: «Le razze umane esistono».

Immagine: Wikipedia


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