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Israele-Palestina: “L’accordo proposto da Trump? Non chiamatelo piano di pace”

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Valigia Blu propone l’analisi a firma di Roberta Aiello del piano di pace per il conflitto israelo-palestinese messo a punto dall’amministrazione Trump.

“Non chiamatelo piano di pace”. A dirlo è Daniel Levy, presidente di U.S./Middle East Project, nonché negoziatore ed esperto di politica anglo-israeliana e consigliere di Ehud Barak all’epoca in cui ricopriva la carica di ministro della Difesa. Dalla metà degli anni ’90 ai primi anni 2000 Levy ha lavorato alacremente alla stesura degli accordi di pace israelo-palestinesi, da quelli di Oslo del 1993 all’elaborazione dei testi discussi al Summit di Camp David nel 2000 tra l’allora presidente americano Bill Clinton, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Ehud Barak, dai negoziati di Taba di gennaio 2001 alla redazione dell’Accordo di Ginevra a dicembre 2003.

“Un piano di pace deve essere basato sul salvare la faccia ad ambo le parti perché entrambe devono essere in grado di dichiarare una sorta di vittoria” scrive Levy su The American Prospect commentando la proposta di pace per il conflitto israelo-palestinese messa a punto dall’amministrazione americana e presentata dal presidente Donald Trump il 28 gennaio scorso. “Il piano annunciato è una lettera d’odio di 180 pagine scritta dagli americani (e di riflesso dagli israeliani) ai palestinesi – prosegue – a meno che non si legga per intero (o non si conosca la storia del conflitto) è difficile spiegare la profondità dello spregio e del disprezzo che questo testo mostra nei confronti dei palestinesi. Trasuda suprematismo colonialista”.


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