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Un nuovo statalismo climatico

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Paolo Gerbaudo sulla rivista Il Mulino ragiona sulle risposte che la comunità internazionale sta cercando di dare al cambiamento climatico. A suo parere, anche sulla scorta di quanto accaduto durante la pandemia, c’è lo spazio per una completa revisione del modello di sviluppo secondo un impianto più statalista, con una programmazione pubblica e democratica della direzione da prendere.

La prospettiva è quella di un pianeta dove sarà assai più difficile vivere. E soprattutto dove sarà difficile vivere in pace, dato il modo in cui il cambiamento climatico rischia di generare ondate di rifugiati climatici e scatenare una competizione per le risorse. […] Ma non sarà certo il mercato, né un cambiamento degli stili di vita, a risolvere il problema epocale che abbiamo di fronte. Il cambiamento climatico è il classico problema per cui «non ci sono soluzioni di mercato».
[…] Dopo decenni di egemonia neoliberista e credo nel «mercato che si autoregola» nelle scelte di politica climatica si stanno affacciando forme di interventismo statale a lungo abbandonate.
[…] A sinistra c’è chi parla di un Leviatano climatico, come Geoff Mann e Joel Wainwright, o di un «leninismo ecologico», come Andreas Malm, mentre la «soft left» di Ed Miliband sta dibattendo l’idea di un «go big», con lo Stato visto come protagonista. Ma anche a destra si fa ormai strada la consapevolezza che il futuro richiederà uno «Stato attivista» per usare le parole del premier britannico Boris Johnson. La strada è un ritorno a una vera pianificazione democratica, in cui lo Stato fissa obiettivi regolativi che poi deve essere il mercato a raggiungere, piuttosto che intervenendo direttamente nella produzione.


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