Le parole di Berners-Lee sulle tre sfide che ci attendono
Questa settimana si sono celebrati 30 anni di web, lo avrete visto dai vari speciali e articoli.
Mercoledì Mark Zuckerberg, il fondatore e Ceo di Facebook, ha pubblicato un lungo post in cui ha annunciato una svolta radicale del suo social network, una svolta pro-privacy.
Facebook sta lavorando per lanciare una criptomoneta per Whatsapp già nel 2019, rivela il NYT (aggiungendo dettagli a precedenti rivelazioni). Il social media sarebbe dunque a buon punto nella costruzione di un sistema di pagamento digitale per l’app di messaggistica, che permetterebbe agli utenti di inviare e ricevere soldi istantaneamente e senza pagare commissioni.
Emoticon ma soprattutto emoji (la forma grafica delle più vecchie faccine composte con i caratteri) sono citati sempre più spesso in procedimenti giudiziari americani per rafforzare indizi e prove.
Fa discutere in Gran Bretagna una clausola della nuova legge sull’antiterrorismo (Counter Terrorism and Border Security Act 2019) secondo la quale chiunque veda online dei contenuti terroristici anche solo una volta, anche solo visualizzandoli o in streaming (senza scaricare nulla), può rischiare una condanna, fino a 15 anni.
Il ricatto a Bezos, Trump e i sauditi, un nuovo Watergate?
“Ieri mi è successo qualcosa di insolito. Veramente, per me non era solo insolito – è stata una prima volta assoluta.
Una inchiesta di Reuters rivela i dettagli del Project Raven, il progetto con cui gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno creato un team composto da oltre una dozzina di ex agenti dell’intelligence americana, ex-hacker della Nsa o suoi contractor statunitensi, per mettere in piedi un vasto programma segreto di sorveglianza interna, che consisteva anche nell’infiltrare e spiare i dispositivi di centinaia di giornalisti, attivisti, e critici della monarchia.
Mark Zuckerberg vuole integrare i sistemi di messaggistica di Whatsapp, Instagram e Facebook Messenger. I tre servizi continueranno a operare come app autonome, ma “la loro infrastruttura tecnica verrà unificata”, scrive il NYT citando fonti interne riservate.
È arrivato il primo mega data breach del 2019. La prima grossa raccolta di indirizzi email e password di utenti che dopo aver fluttuato in Rete per un po’ è stata infine identificata da alcuni ricercatori di sicurezza.
Gli Usa e i report sulla manipolazione dei social media
Il Senato Usa ha ricevuto due diversi rapporti sulle attività di disinformazione e manipolazione online dei russi durante e dopo le elezioni presidenziali del 2016.
Avrete tutti letto e straletto dell’arresto di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei (nonché figlia del fondatore), mentre faceva uno scalo a Vancouver in una rotta tra Hong-Kong e Messico.
Due giorni fa è stata rivelata un’enorme, pesantissima, globale violazione di dati personali. E se siete stati in un hotel della catena Starwood negli ultimi 4 anni vi riguarda.
Avrete ovviamente sentito che c’è stato un grave “attacco alle PEC”, alla posta elettronica certificata di un gestore italiano, con compromissione di 500mila account, di cui 98mila della Pa collegata al Cisr (il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, che comprende i ministeri della Giustizia, dell’Interno, della Difesa, degli Esteri, dell’Economia e dello Sviluppo Economico, la presidenza del Consiglio dei ministri e dell’Autorità delegata), per 3mila domini (fra pubblici e privati) coinvolti, blocco dei tribunali, in particolare dei servizi informatici degli uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello, e conferenza stampa dei vertici della nostra intelligence, secondo la quale sarebbe l’attacco “più grave avvenuto nel 2018″.
Facebook e l’agenzia di PR che ha scatenato una crisi di PR
Questa è stata la storia bomba della settimana. Tutto nasce da una inchiestona del New York Times che racconta delle tattiche usate da Facebook per deviare l’attenzione dalle critiche verso la propria piattaforma e dalla sua incapacità a frenare influenze straniere, tattiche che includerebbero anche i servigi di una spregiudicata società di PR di area conservatrice.
Ha fatto discutere una per altro interessante intervista al New York Times del suo Ceo Sundar Pichai, in cui il numero uno di Google, per spiegare il fatto di operare in Paesi soggetti a censure, sembra fare un paragone tra il diritto all’oblio codificato dall’Europa per proteggere la vita di singoli individui con la censura di Stato in Cina su temi politici e storici attraverso un sistema di filtri e blocchi noto come Great Firewall.
A dispetto dell’accusa di essere progressista e “liberal” mossa da Trump alla Silicon Valley e alle sue piattaforme, in questa settimana un’ondata di articoli e segnalazioni hanno messo in luce il modo in cui queste stesse piattaforme sono invece usate dalla destra estrema, dagli Stati Uniti al Brasile.
Nelle scorse edizioni parlavamo dei copiosi finanziamenti sauditi alle startup americane (e occidentali). Ma l’Arabia Saudita è sempre più nel mirino dei media (americani) per l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi avvenuta nel consolato saudita di Istanbul, e infine ammessa nelle scorse ore a denti stretti da Riyadh – anche se fatta passare per “incidente”.
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