L’energia serve per fare qualunque cosa, ed è quindi uno degli elementi principali che muove la politica estera degli stati. L’Italia non fa eccezione: infatti, anche se il nostro paese è in grado di produrre la maggior parte dell’energia che poi viene utilizzata dalla nostra industria, dalla nostra agricoltura e dalle nostre famiglie, allo stesso tempo deve importare le materie prime che servono a far funzionare gli impianti di produzione.
In Italia non è popolare parlare di spese per la difesa. Quando la politica ne parla, tende a farlo solo per dire che “sprechiamo soldi per difenderci”.
L’Italia è una nazione di confine, di passaggio, di connessioni. Siamo una terra di cerniera, dove mondi diversi si incontrano, talvolta si combattono, e provano a influenzarci.
Nelle crisi internazionali l’Europa non conta più nulla. La decisione di Donald Trump di ritirare le truppe dal nord della Siria ha consentito al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di dare avvio all’offensiva di terra per liberare quella parte del confine dai curdi, che la Turchia considera terroristi.
È nell’interesse dell’Italia cercare lo scontro con gli alleati? È ciò che l’Italia ha fatto nell’ultimo anno, l’anno del governo gialloverde, di un governo che si è definito orgogliosamente sovranista e che quindi ha al primo punto del suo programma, in teoria, la difesa degli interessi nazionali.
L’Italia è una portaerei al centro del Mediterraneo, una penisola a lungo al centro del mondo e della storia, proprio grazie al fatto di trovarsi nel cuore della civiltà occidentale, e che tuttora potrebbe sfruttare molto meglio la sua posizione geografica.
Perché l’Italia è rimasta al riparo dagli attentati del terrorismo islamico? Il nostro Paese è riuscito a costruire, per adesso, un modello di convivenza aperto e pacifico con la comunità musulmana.
“Né l’Unione Sovietica, né la Russia, erano riusciti a creare una frattura tra gli alleati della NATO nei decenni passati. Adesso, è il principale protagonista dell’Alleanza Atlantica a farlo”.
Com’è la rivoluzione vista da vicino? Dal 22 febbraio 2019 gli algerini scendono in piazza per chiedere un nuovo sistema politico, l’instaurazione di una democrazia, di uno Stato di diritto, di una società più aperta.
Gli Stati Uniti non sono un paese normale per nessuno in Europa, e l’Italia non fa eccezione. L’America è il nostro principale alleato, lo stato straniero che ha più influenza sui nostri affari interni.
“Quando la Cina si sveglierà il mondo tremerà” è il titolo di un famoso saggio del 1973, l’autore è Alain Peyrefitte, diplomatico e ministro del presidente francese Georges Pompidou.
Quanto contano le divisioni regionali sul nostro modo di fare politica estera? La questione delle rivalità e delle differenze interne al nostro Paese, mai sanate dall’Unità fino a oggi, è fondamentale per capire alcune scelte di fondo delle relazioni internazionali italiane.
Roma non è soltanto la capitale d’Italia, ma è il centro di un impero universale, un impero che nella sua storia ha unito potere temporale e religioso, e ha reso l’Italia il centro del mondo occidentale per millenni.
Dal secondo dopoguerra ad oggi, l’Italia ha saputo tessere delle relazioni molto profonde con l’Iran, rimanendo uno dei pochi stati occidentali a mantenere rapporti privilegiati anche dopo la rivoluzione islamica che ha portato al potere l’Ayatollah Khomeyni nel 1979.
Quando si parla della strategia italiana in Libia, bisogna immaginare un quadrilatero: quattro uomini che dal 2016 al 2018 hanno cercato di costruire, per l’Italia, un ruolo centrale nel paese africano.
Esiste un’internazionale sovranista? Negli ultimi anni si è affermata una narrazione precisa: vari e diversi partiti sovranisti tutti uniti per imporre la propria egemonia in una sorta di concordia degli egoismi nazionali.
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