È decisamente il momento dei Verdi, in Germania. Due giorni fa persino l’arcigna Corte Costituzionale, quella che stava per bloccare il Recovery Fund, ha emesso una sentenza che in molti considerano una vittoria culturale dei movimenti ambientalisti.
Incolpare l’Unione Europea per i ritardi nella campagna vaccinale contro il coronavirus sarà sempre più difficile. Mentre nel primo trimestre del 2021 sono stati distribuiti nei 27 paesi europei 107 milioni di dosi di vaccino – sono stime recentissime – da qui alla fine di giugno ne arriveranno quasi il triplo, cioè circa 300 milioni di dosi, due terzi dei quali da un produttore che finora si è dimostrato piuttosto rigoroso nelle consegne, Pfizer-BioNTech.
Nei giorni scorsi le istituzioni europee si sono trovate nella scomoda e controintuitiva posizione di dover difendere e attaccare l’azienda farmaceutica AstraZeneca nello stesso esatto momento.
È un problema che conosce benissimo chi ha subito insulti e prese in giro da piccolo o da adolescente: certe cose rimangono addosso, e si concretizzano come profezie autoavveranti.
Non sappiamo ancora se Mario Draghi riuscirà a formare un governo, da chi sarà sostenuto, chi ne farà parte, e se nel caso preferirà la vista di Piazza Colonna a quella dell’ufficio che ha occupato per anni al quarantesimo piano nella sede della Banca Centrale Europea, a Francoforte: una stanza piuttosto spoglia arredata da qualche oggetto personale – come l’elmo prussiano che la BILDgli regalò nel 2011 – e ampie finestre che si affacciano sul fiume Meno.
Alcuni beninformati hanno definito la videochiamata fra i leader europei di due giorni fa «una seduta collettiva di psicoterapia». I capi di stato e di governo dell’Unione, che si riuniranno formalmente soltanto fra due mesi, hanno parlato di tutti i problemi più urgenti che riguardano la pandemia, ma senza arrivare per ora a nulla di concreto, in attesa di capire cosa succederà nelle prossime settimane.
In Europa non siamo più abituati ad assistere a scene simili all’attacco al Congresso statunitense, compiuto da una folla di sostenitori di Donald Trump, incoraggiati e aizzati da Trump stesso.
In mezzo all’entusiasmo con cui abbiamo seguito le elezioni negli Stati Uniti – sul Post e fuori dal Post – abbiamo notato sacche di snobismo e indignazione: com’è possibile che sappiamo tutto sulle contee che tendono più a sinistra in Arizona, mentre lettori e giornali non riescono a dedicare la stessa attenzione, per esempio, alle elezioni europee?
Come capita spesso nelle sedi europee, le cose succedono un passo alla volta e sono scandite da dibattiti, attese, stalli, ripensamenti, approvazioni, veti e tutto quello che sta in mezzo.
In una risoluzione votata la settimana scorsa a larga maggioranza, il Parlamento Europeo ha parzialmente respinto l’accordo trovato dal Consiglio Europeo.
Sono state altre due settimane di piccoli sviluppi e aggiornamenti di storie che matureranno fra qualche tempo, forse a settembre: si è riparlato di MES, di Fondo per la ripresa, di un compromesso sul budget pluriennale 2021-2027 dell’Unione Europea.
Nei giorni scorsi i leader europei avevano messo le mani avanti e cercato di abbassare l’asticella delle aspettative per il Consiglio Europeo di ieri, in cui hanno discusso del fatidico Fondo per la ripresa, il principale strumento per limitare i danni della crisi economica innescata dal coronavirus.
Approfittiamo di questi giorni mooolto più tranquilli rispetto ai precedenti per una newsletter più leggera. Nelle ultime due settimane non è successo moltissimo.
Lo avevamo scritto, che a meno di grosse sorprese non ci sarebbero state novità sul Fondo per la ripresa, il più importante strumento europeo per contrastare la gigantesca crisi economica dovuta al coronavirus.
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